lunedì 26 marzo 2007

Diritti Umani Storie di Umanitari

I Diritti Umani fondamentali devono essere protetti e questa è una responsabilità che spetta ad ogni cittadino. Nel corso degli anni Diritti dell’Uomo ha incontrato un forte appoggio da parte di diverse personalità.

Due italiani, forti sostenitori di diritti umani, hanno molto da raccontare su questo: il Dottor Francesco Proietti Ricci, Presidente della Lega Interregionale per i Diritti dell’Uomo e il Dottor Giorgio Antonucci che ha ridato la vita a centinaia di persone precedentemente in cura psichiatrica.

Speriamo che i nostri lettori trovino le parole di questi due uomini di aiuto a far si che i Diritti umani in Italia diventino una realtà.

Battersi per i Diritti Umani Senza Compromessi
Dott. Giorgio Antonucci

I diritti umani cominceranno a essere rispettati soltanto quando la psichiatria sarà scomparsa, in quanto la psichiatria è esclusivamente un’ideologia e un metodo di persecuzione. Così come non si possono eliminare i campi di concentramento finché non si elimina il razzismo, sostiene il dottor Giorgio Antonucci.

Quando nel 1973 entrò nel primo reparto ospedaliero che avrebbe poi diretto, il reparto 14, Giorgio Antonucci si rese subito conto di cosa avrebbe cambiato all’interno dell’ “Agitate Donne”.

Quello che aveva trovato all’ “Osservanza” di Imola non gli piaceva: 44 donne rinchiuse, molte in camicie di forza, sia nelle celle sia nel giardino, alcune legate agli alberi, poche erano le persone che si potevano muovere nei corridoi perché erano quasi tutte immobilizzate.

“Decisi di lavorare in quel reparto”, racconta Antonucci, “perché era ritenuto da tutti gli psichiatri che lavoravano lì, il reparto più difficile – secondo loro, quelle erano le persone più difficili. In realtà era il reparto dove venivano internate le persone più ribelli”.

Oltre al Reparto 14, si assunse la responsabilità anche del Reparto 10 Donne e del 17 uomini, per poter svolgere il suo lavoro: liberare le persone e aprire loro quelle prospettive sociali che avevano definitivamente perso in una struttura psichiatrica, in un manicomio.

Come medico di reparto, ricevette dal Direttore, Edelweiss Cotti, un completo supporto.

Quest’ultimo “aveva delle teorie sconvolgenti per quei tempi, idee delle quali in Italia non si era ancora parlato, derivate dalla nuova impostazione di Thomas Szasz* nel mondo. “In un mese tolsi le camicie di forza, apri le finestre, feci buttare giù i muri e liberai quelle persone dalla loro prigionia, dall’essere sempre rinchiuse. Queste persone cominciarono ad essere libere”, ricorda Giorgio Antonucci.

Un crescente movimento verso la riforma

Erano gli anni di quell’epoca che vide in Italia gli inizi di una progressiva ma inarrestabile riforma della psichiatria, anni in cui si percepiva l’inadeguatezza e la brutalità della logica manicomiale e della psichiatria ma di cui era ancora difficile parlarne, sollevare veramente il problema.

Pochi anni prima, nel 1968, Antonucci lavorava con Leopoldo Tesi e Edelweiss Cotti, che la pensavano come lui riguardo la “malattia mentale” e i diritti dei malati, formando per la prima volta in un ospedale civile, un reparto in alternativa al manicomio.

Ma la società dell’epoca, con il potere economico e politico, rifiutarono decisamente qualsiasi innovazione, anche del campo psichiatrico e della salute mentale. Il Sindaco di Cividale, in provincia di Udine, convinse gli amministratori dell’ospedale dove Antonucci aveva reso operativo il “Centro di relazioni umane”, sostituendolo al reparto psichiatrico, che dovevano andarsene, il che significava che le persone che venivano seguite in quel reparto, sarebbero state trasferite in un manicomio. Il reparto con i medici, gli infermieri e le persone di cui si occupavano, rifiutarono di andarsene.

“Cercavamo di difendere il nostro diritto di lavorare in modo differente e il diritto delle persone che erano con noi di non finire in manicomio”, racconta Antonucci.

La polizia entrò con la forza per porre fine a quella “novità”. E l’episodio venne all’epoca ripreso dalla stampa internazionale. Non si era mai visto che la polizia facesse irruzione in un reparto ospedaliero per affrontare 12 pazienti, tre medici, due assistenti sanitarie e un’assistente sociale. Antonucci e i suoi colleghi riuscirono comunque a non fare internare nessuna delle persone di cui si occupavano all’ospedale, ma rimasero nelle loro case, evitando l’internamento, ciò per cui quei medici si stavano battendo.

Nel 1969, dopo i fatti di Cividale, Antonucci prese servizio all’Ospedale psichiatrico di Gorizia, per lavorare con Franco Basaglia e portare avanti l’opera chiamata “deistituzionalizzazione”, in altre parole stavano smantellando un’istituzione psichiatrica.

Lo smantellamento delle istituzioni psichiatriche

........................... Da un punto di vista umano, il primo pensiero di Giorgio Antonucci negli anni della sua professione, è sempre andato agli uomini che seguiva e alle loro famiglie. ...........................

Antonucci descrive lo smantellamento nel suo libro “Le lezioni della mia vita”: “Si trovano le persone chiuse in cella e si aprono le celle; ci sono persone in camicia di forza e si tolgono loro le camicie di forza; si trovano ostacoli per poter circolare all’interno di queste istituzioni che sono tutte a compartimenti separati l’uno dall’altro e si tolgono i compartimenti”.

Dal 1973 in avanti Antonucci presta la sua opera nel territorio dell’Emilia-Romagna, dove organizza e dirige il Reparto autogestito del Luigi Lolli di Imola, “smantellandone” i reparti e gettando le basi per quel progetto che esiste ancora oggi, famoso in tutto il mondo per essere stato il primo a considerare un uomo con dei diritti, il cosiddetto, sino ad allora, “malato mentale”.

Sin dall’inizio Antonucci condusse una forte battaglia contro il trattamento sanitario obbligatorio. “Lo psichiatra, può internare una persona perché potrebbe uccidersi, cioè suicidarsi... Lo psichiatra sequestra sulla base delle intenzioni, questa è la psico-polizia di Orwell”, sottolinea Antonucci.

Sin dal primo giorno della sua professione, Giorgio Antonucci ha iniziato a “liberare” le persone dai trattamenti psichiatrici. Le persone che trovava all’interno delle strutture venivano trattate a psicofarmaci e periodicamente sottoposte ad elettroshock. Venivano anche usati trattamenti come il coma insulinico e la malaria terapia (coma e malaria causate dallo psichiatra per far cambiare pensiero alla persone). Antonucci ha abolito tutti questi trattamenti, togliendo tutti i vincoli fisici, chimici e tutti gli altri metodi repressivi ed ha iniziato a dialogare con loro.

“Prima dovevano essere liberati da tutti questi tormenti e poi cominciare a ragionare sulle loro prospettive all’interno della società, al di fuori del manicomio”, racconta Antonucci.

I risultati del suo lavoro sono ancora oggi visti quasi come un miracolo. E sono i risultati osservati sugli ex-pazienti stessi, persone debilitate, anche dal punto di vista fisico, dagli psicofarmaci, dagli elettroshock e dall’isolamento.

Il rispetto della dignità umana

Roberto Cestari, Presidente del CCDU in Italia osserva: “Molti altri hanno teorizzato l’abolizione delle pratiche violente nei manicomi, lui lo ha fatto sul serio”. Come medico, Antonucci si occupava in primo luogo della loro salute fisica, anche in collegamento con gli ospedali civili e con i medici di base della città. Non solo, si occupava anche di dialogare con loro per capire come riportarli alla dignità che gli spetta, “come soggetti di libertà o, se si preferisce, come soggetti spirituali, come persone che hanno una vita interiore che va rispettata nella sua integrità”.

Le persone che venivano in visita nei reparti dove lavorava Antonucci non si accorgevano di essere in un reparto psichiatrico, non distinguevano quali fossero i pazienti, nel senso che ormai erano vestiti normalmente, puliti, ristabiliti e conducevano un’esistenza normale.

Anche se la strada verso la completa abolizione delle disumane e brutali pratiche psichiatriche è ancora lunga, il lavoro compiuto da Giorgio Antonucci è monumentale.

“Credo sia stato il primo e l’unico al mondo a lavorare solo ed unicamente in direzione della libertà della gente, senza lasciarsi mai fuorviare dalle etichette delle presunte malattie mentali”, osserva il Dottor Roberto Cestari, Presidente del Comitato dei Cittadini per i Diritti Umani. “E questo non tanto e solo in campo teorico, ma anche nella pratica. Lui ha dimostrato con i fatti che non è vero che esistano situazioni in psichiatria dove sia necessario usare la forza. Se alcuni la usano confermano pertanto solo la propria incapacità”.

Cestari ricorda che un giorno rivolse ad Antonucci una domanda provocatoria, chiedendogli conferma del fatto che tutto quello che aveva fatto non fosse stato esclusivamente determinato dalla sua bravura e dalla sua personalità. Giorgio Antonucci rispose, cogliendo al volo la “provocazione” di Cestari, che: “se uno non è bravo a fare un lavoro, dovrebbe farne un altro”, riferendosi agli psichiatri che, usando forza e pratiche violente, dimostrano di non avere queste capacità. Dovrebbero quindi cambiare mestiere.

Nella prefazione al libro di Giorgio Antonucci, “Il pregiudizio psichiatrico” (Elèuthera, 1989), Thomas Szasz scrive: “La psichiatria italiana è arricchita in modo incommensurabile da Giorgio Antonucci. Si può ritenerlo un buon psichiatra (qualunque sia il significato del termine): ed è vero. O si può ritenerlo un buon antipsichiatra (qualunque sia il significato del termine): ed è altrettanto vero. Io preferisco ritenerlo una persona come si deve che pone il rispetto per il cosiddetto malato mentale al di sopra del rispetto per la professione”.

Antonucci non credeva e non ha mai usato la “psichiatria”. Il suo vero merito, quello che ha dato la forza a molti di continuare a combattere per i diritti dell’uomo nel campo psichiatrico e battersi per quelle riforme che stanno eliminando gli abusi nei confronti dei cosiddetti “malati mentali”, è stato quello di aver dimostrato che non servono psicofarmaci, camicie di forza ed elettroshock. E lo ha dimostrato lavorando all’interno dei manicomi. Non teorizzandolo.

“Se Giorgio Antonucci non avesse dimostrato tutto ciò, il lavoro di chi cerca di cambiare le cose sarebbe stato inutile a causa della mancanza della pratica”, osserva Roberto Cestari. “Molti altri hanno teorizzato l’abolizione delle pratiche violente nei manicomi, lui lo ha fatto sul serio”.

Da un punto di vista umano, il primo pensiero di Giorgio Antonucci negli anni della sua professione, è sempre andato agli uomini che seguiva e alle loro famiglie: “Non ci sono le persone cosiddette “sagge” e le persone cosiddette “folli”. Noi tutti abbiamo una personalità complessa, in certi momenti ci possiamo trovare in difficoltà con noi stessi e con l’ambiente sociale, come tutti sappiamo. La cosa fondamentale è che queste sono persone come noi che possono comunicare anche se non tutti comunicano allo stesso modo”.